«La ligera […] negli anni Cinquanta, nel tumultuoso dopoguerra, nell’Italia stretta nei sacrifici della Ricostruzione, è più che altro un tentativo fatto nei quartieri popolari, operai e proletari di sfuggire al destino, che sembra inevitabile, della disciplina di fabbrica», afferma Primo Moroni in Malamilano.
A questo destino non era dato di sfuggire nei modi della malavita romantica o sognando il grande «colpo» che ti risolve la vita.
Ma sia i proletari e i proletarizzati lombard sia coloro che a Milano erano arrivati con il treno e la valigia di cartone, entrando dalla «porta del lavoro, ponte della necessità, estuario del sangue semplice» (Anna Maria Ortese), qualche anno dopo avrebbero trovato il numero, la forza, la capacità di ribellarsi alla città-fabbrica e alle sue «centinaia di orologi che segnano il tempo del lavoro sterminato e il tempo del vissuto ristretto».
Il Ticinese, con la sua stratificazione di storie e culture, scolpite spesso nella toponomastica o nella memoria degli abitanti, con la sua tradizione di solidarietà e di accoglienza nei confronti dei diversi, con la sua stessa conformazione urbanistica, fu crocevia delle intelligenze e delle tensioni alla trasformazione sociale che allora resero viva la città. Nei «dieci anni che sconvolsero il mondo» fu, tra tutti i quartieri milanesi, il più «caldo», «fiammeggiante di bandiere rosse e rossonere», prima d’essere ricondotto a ragione (mercantile) e abbassarsi a luogo pittoresco, pieno di locali in cui si «vendono vino e panini senza amore e senza memoria».
Di questa vicenda storica, dei suoi luoghi e di alcuni tra i suoi protagonisti trattano gli scritti e gli interventi di Primo Moroni raccolti in questo libro, che dialoga idealmente con il film documentario Malamilano.
Non pochi anni sono trascorsi da quando pubblicammo queste pagine per ricordare Primo: barbe e capelli ingrigiti (per alcuni), le nostre ragazze più belle (tutte bellissime) con qualche segno in più, l’arrivo di nuovi giovani (alcuni, non migliaia) e l’intreccio di nuove relazioni (queste, sì, numerosissime). Anche, purtroppo, le morti di vari amici, Guccio, «Galassia», Gigi, Gianluca «Arki».
I giorni non sono tutti uguali, è noto, e l’alba del 22 gennaio 2009 vede il Ticinese invaso da celerini, digotti e carabinieri affluiti in forze per sgomberare il CSOA Cox 18, uno spazio sociale occupato dal 1976, già sgomberato per due volte nel 1989 e per due volte rioccupato. Con pesanti lastre di ferro elettrosaldate i tutori dell’ordine blindano le porte del Centro, dell’Archivio e della Calusca, ma non possono sigillare le ondate di solidarietà che a livello cittadino e nazionale scandiscono i 22 giorni che portano infine alla liberazione, avvenuta la sera del 13 febbraio. Davvero, non c’è il due senza il tre…
Da allora la musica, le presentazioni di libri, il mercatino biologico, le iniziative per i bambini, gli spettacoli di teatro, la cucina, le assem- blee di movimento e gli incontri di lotta, le visite e la consultazione dei materiali dell’Archivio hanno riempito questo spazio/tempo non omo- logato.
Non si spengono le luci della città perché, anche grazie a voi, continuiamo a sognare.
Marzo 2016
ordini @Calusca City Lights