Un cantiere della durata di 10 anni per costruire un tunnel lungo 57 chilometri in una montagna dove è già stato trovato dell’amianto. Il tutto per guadagnare 27 minuti nel trasporto di merci nella tratta Torino-Lione, sostituendo l’attuale linea ferroviaria che è già ampiamente sottoutilizzata. Un progetto vecchio di 20 anni senza alcuno studio recente in grado di sostenere che, una volta completato, possa servire a qualcosa. Trecentosessanta tra professori, ricercatori e professionisti firmano un documento sulla sua inutilità. [1]
L’alta velocità in Val di Susa è un’opera faraonica e inutile che appare sempre più per quello che è: una fonte di guadagno per le lobbies del cemento e del tondino, una rappresentazione del Potere di uno Stato forte, capace di giocare i suoi interessi sul corpo delle genti.
La tenace resistenza di valligiani e solidali ha dimostrato a tutti che la lotta contro il TAV è un patrimonio comune: è la lotta dei bisogni diffusi contro i grossi interessi, contro le concentrazioni di potere e contro il sistema che produce nocività.
Un sistema ferroviario che sottopone a quotidiano supplizio i pendolari, che trascura le linee delle periferie, che si ferma per una nevicata, dovrebbe mostrare la sua eccellenza nel trasporto di chissà quale merce da Kiev a Lisbona: BALLE!
Spesa prevista per il tunnel: 22 miliardi di euro, quasi tre volte i tagli alla scuola operati dalla coppia Gelmini-Tremonti; metà della manovra finanziaria di “risanamento” del governo Monti. Il finanziamento è per gran parte italiano, ossia nostro: nuovi tagli che si aggiungeranno a quelli già fatti per salvare banche e grossi gruppi finanziari. Il governo è tecnico, e la tecnica qui è quella dei potentati economico-finanziari e della compatibilità dei mercati, c’est la vie…
“Il lavoro è in corso, deve continuare nel modo migliore, come previsto”, così ha detto il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Corrado Passera a proposito del TAV. E il migliore dei modi è picchiare duro e trasformare una opposizione consapevole in una lotta tra buoni (lo Stato) e cattivi (le solite etichette di comodo: antagonisti, anarchici ed ora anche valligiani…), e fare di una battaglia generale una vicenda di meri interessi locali. Questo Tunnel s’ha da fare «perché così è deciso», come direbbe l’istitutore all’allievo che si rifiuta di imparare la lezione a memoria e vuole capire di più e meglio o come urlerebbe il padrone al mulo stanco di camminare.
Ma la commedia è finita, gli argomenti a sostegno della «Grande Opera» suonano sempre più sordi e insensati e, con l’attenuarsi dell’efficacia dell’uso mistificatorio delle parole, non resta che la politica del manganello.
Come per l’articolo 18, la cui abolizione non tutela l’occupazione, ma mira solo a permettere alle aziende di sbarazzarsi delle forme di dissenso nei luoghi di lavoro, così ogni provocazione e falsità alla bisogna può far comodo. Non a caso quindi, al ritorno della manifestazione del 25/2/2012, che ha portato in valle oltre 75.000 persone in solidarietà diffusa con chi in prima persona si è esposto e sta pagando il prezzo più alto di questa battaglia, si mette il massacratore della scuola Diaz al comando della “trappola di Porta Nuova”. Un treno deviato sul binario più comodo, una aggressione a freddo a manifestanti e passeggeri, il pretesto di una sassaiola contro un’ambulanza, diventano oltre che una “lezione” per i più attivi anche parte di una coreografia finalizzata a spostare l’attenzione su un semplice ed ipotetico problema di ordine pubblico, non avendo argomenti convincenti da dare in pasto alla opinione pubblica. [2]
Ma tutto ciò non basta, il meccanismo sembra incepparsi: quando Luca viene fatto cadere dal traliccio più di quaranta città rispondono determinate che quello del TAV è un problema anche loro.Questa battaglia vive grazie alla consapevolezza che vi è in essa qualcosa di comune a chiunque si opponga alle scelte calate dall’alto e trova la sua forza nel rispetto delle differenze e nel prevalere dell’obbiettivo comune sull’espressione dell’identità.
Questa battaglia vive di chi tiene il presidio, di chi fa il blocco dell’autostrada, di chi taglia le reti, di chi taglia il velo di ignoranza e disinformazione che alimenta il consenso ottuso e cieco.
Portare la Valle in città significa anche estendere gli interlocutori, gli ambiti, coinvolgere anche chi, fino ad ora, ha preferito restare fuori: non bisogna essere della Valsusa per essere notav.
LA COMMEDIA E’ FINITA MA GLI SPETTATORI NON SE NE VANNO, DEVONO ANCORA FINIRE DI PAGARE IL BIGLIETTO E NON HANNO NESSUNA INTENZIONE DI FARLO
Cox 18 – Calusca City Lights – Archivio Primo Moroni
1http://www.notav.eu/modules.php?name=ePetitions&op=more_info&ePetitionId=3