Causa indisponibilità dei relatori l’incontro di domenica 16 con Italo Poma è annullato.
DOMENICA 16 MARZO 2014
a partire dalle ore 17.00
Italo Poma presenta il libro
Storie della Resistenza, a cura di Domenico Gallo e Italo Poma (Sellerio, Palermo, 2013)
Segue proiezione del film
I nostri anni di Daniele Gaglianone [Italia, 2000, b/n, 90 min.]
Un’antologia inedita di scritture della Resistenza, prodotte a caldo, a pochi anni o mesi di distanza dagli eventi, raccolte e riscoperte grazie a un innovativo lavoro di ricerca e di archivio. Il libro contiene ricordi, testimonianze, racconti, appunti, ritratti, cronachette di vita, di morte e di azioni militari. Storie che desiderano salvare della Resistenza italiana un profilo che il tempo, come forse anche l’ansia di tesi preconcette, rischia di appannare: ossia il sentire genuino di chi viveva la sua giornata battendosi nella lotta partigiana e praticando un “modo di vita” che era “semplicemente il contrario dell’insieme di regole in cui erano cresciute almeno due generazioni senza conoscere modelli alternativi”.
[Angelo Del Boca] Il documento che più ci sorprese fu una sorta di dizionario, una cinquantina di voci scritte a matita su altrettanti piccoli fogli d’agenda. I fogli, per l’umidità, si erano incollati e se non fossero stati scritti a matita non si sarebbe salvato nulla. Pazientemente asciugammo foglio per foglio e alla fine cominciammo a leggere ciò che segue:
Alba – Quando spunta, può essere troppo tardi.
Alexander (Maresciallo) – Avrebbe voluto, all’inizio del secondo inverno, che fossimo spariti come talpe sottoterra. Non se l’abbia a male se gli abbiamo disobbedito: non c’erano buche a sufficienza.
Badoglio e Bonomi – Due personaggi, scialbi, che stanno al Sud, con gli americani.
Barba – Molti se la lasciano crescere, ma non sempre perché mancano di lamette. Chi la porta, automaticamente viene chiamato “Barba”. E poiché in un distaccamento sono in parecchi ad averla, uno si chiamerà “Barba I”, l’altro “Barba II”, e così via. Ad alcuni sta bene, gli fa una faccia decisa. Ad altri addolcisce gli occhi. Altri ancora, e sono i più ostinati a tenerla, fanno pensare alle capre.
Cani – Sono un vero guaio, di notte, durante le marce di trasferimento. Il primo a sentirvi dà la sveglia al vicino, e in pochi istanti la valle è tutta un abbaio. I cani dei tedeschi invece non abbaiano. Sono alti, snelli, col pelo corto. Ti inseguono per giornate, come se ti conoscessero, ti odiassero. Cani sono anche chiamati i tedeschi, per quanto si preferisca chiamarli maiali.
Comandante – Lo si diventa per meriti, non per titoli di studio. Conosco un mungitore che ha ai suoi ordini un colonnello di Stato Maggiore. Di solito si affermano quando scoprono per la guerriglia un’autentica vocazione. Fanno sempre di testa loro, e raramente sbagliano. Quando sbagliano pagano di persona.
Nome di battaglia – Serve a mascherare la nostra identità e di rimando a tradire il nostro carattere. Esso rivela infatti le nostre ambizioni, o le nostre letture, oppure i limiti della nostra fantasia.
Partigiani – Ce ne sono di tutti i tipi: comunisti e cattolici, socialisti e liberali, anarchici e trotzkisti, giellisti e monarchici, leali e opportunisti, coraggiosi e vigliacchi, decisi e attendisti, generosi e scaltri, onesti e ladri, giovani e vecchi, eroi e doppiogiochisti, consapevoli e no, con scarpe e senza scarpe, vestiti come soldati e come pagliacci. Combattono una delle diecimila guerre che l’uomo ha scatenato su questa terra e pensano di essere dalla parte della ragione.
Paura – Chi dice di non averne è un bugiardo. Nessuno di noi può giurare che sarà vivo domani. O anche stasera.
* * *
Il film di Daniele Gaglianone è stato presentato in concorso al Torino Film Festival 2000 e nella Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2001.
Alberto e Natalino, ex partigiani, si ritrovano dopo anni di distanza a ripercorrere vicende passate, dopo che Alberto, entrato in un ospizio, trova un ex fascista comandante delle Brigate nere che aveva ucciso un suo compagno d’armi, Silurino. A chiudere, la frase: “I nostri anni sono passati come una storia che ci è stata raccontata e il luogo dove accaddero queste cose non ne serberà traccia”.
“Il film nasce dalle suggestioni e dagli incontri con le persone, i loro volti, le loro voci mentre ricordavano con me episodi tristi e felici della loro gioventù. Per diversi anni ho lavorato a raccogliere testimonianze orali sulla Resistenza. Un lavoro che ha costituito una base importante di documentazione. […] La storia che mi interessava raccontare non poteva emergere da un documentario. A me interessava la percezione che i due hanno del loro passato e del loro presente. Ho cercato l’astrazione, mi interessava riunire aspetti delle persone che avevo incontrato. Nel ricreare la realtà non ho voluto che fosse identificabile il preciso momento o il luogo ove era avvenuto il fatto passato. Per me erano elementi poco importanti, lo vedevo sia come un film sulla memoria che sulla vita che se ne va. Rappresenta anche un tentativo cocciuto e vitale dei personaggi di aggrapparsi a quello che resta della loro esistenza”.
Per leggere l’intervista completa al regista: