Il 14 luglio 2014 presso il Tribunale di Milano si è tenuta l’ultima udienza del processo penale per “i fatti legati allo sgombero di Conchetta” con pronunciamento della sentenza di primo grado.
Le condanne sono state più miti di quanto chiesto dal PM, che era già meno di quanto i capi d’accusa facessero temere.
Un po’ in sordina si chiude (per ora) un’altra tappa di una vicenda iniziata sei anni fa e che forse vale la pena di riepilogare nei suoi capitoli essenziali.
Ecco quindi una storia, divisa in tre episodi e accompagnata da un paio di narratori stonati.
Primo episodio. La richiesta di rilascio dei locali (processo 1)
Nel giugno 2008, il Centro Sociale Occupato e Autogestito Cox18 riceve comunicazione che il Comune (giunta Moratti) ha dato mandato ai suoi avvocati di avviare le pratiche per ottenere il rilascio dello stabile che il centro sociale occuperebbe “senza titolo”. Lo stabile di via Conchetta 18 rientra in un fondo immobiliare che il Comune vorrebbe affidare in gestione a BNP Paribas. Questo fondo contiene 67 stabili tra cui, oltre a Cox18, figurano una sede della CGIL, ARCI Bellezza, Torchiera e Ponte della Ghisolfa.
Il Comune intenta perciò una causa civile davanti al Tribunale di Milano contro Cox18 per ottenerne la “condanna al rilascio immediato dell’immobile abusivamente occupato” e il risarcimento del “danno subito”. A quest’atto il centro risponde con un ricorso in cui, fra l’altro, si avanza l’istanza di usu-capione dei locali.
(http://www.inventati.org/apm/index.php?step=notizia0)
Secondo episodio. Lo sgombero
Il 22/1/2009, sempre nella Milano della Moratti e di De Corato, un consistente contingente di Forze dell’Ordine chiude le quattro vie che portano al centro sociale e, dopo averne forzato il portone e le porte interne, inizia a sgomberare i materiali (cominciando, gentilmente, dalla spazzatura).
(http://www.inventati.org/apm/index.php?step=riprendiamoci)
Nel giro di poche ore il contingente di Forze dell’Ordine è circondato da un altrettanto consistente numero di compagni, solidali, amici, curiosi. In breve la situazione si anima.
Ci vuol poco perché a entrambe le parti si renda chiaro che:
non c’è alcuna disponibilità a lasciare il luogo nelle mani della Polizia;
il centro ospita materiali di indiscutibile rilevanza, quali l’Archivio Primo Moroni, su cui gli operatori del NUIR vengono scoraggiati a mettere le mani;
il centro ha in corso una causa con il Comune per il riconoscimento della titolarità dello stabile (cosa che di per sé dovrebbe indurre a sospendere operazioni di questo genere).
Inoltre, col passare delle ore, come spesso avviene quando le cose non vanno secondo i piani fatti a tavolino, inizia uno scaricabarile tra Comune, Prefettura, Procura e Questura, al termine del quale non si capisce più (né mai si saprà con certezza) chi ha ordinato lo sgombero.
Mentre in quartiere iniziano a muoversi spontanei cortei di protesta, le Forze dell’Ordine interrompono quindi l’asportazione dei materiali, saldano le porte interne di Cox18, Calusca e Archivio e ne blindano con una grande lastra di ferro il portone. Fuori tutti. Due camionette delle FdO stazioneranno lì davanti per una settimana, ventiquattr’ore su ventiquattro.
Nei giorni successivi il collettivo di Cox18, insieme a una nutrita schiera di compagni, solidali, amici e curiosi, si aggira rumorosamente per il quartiere e nei pressi del Comune per denunciare l’accaduto e reclamare la riapertura dello spazio che da trentatré anni fa vivere socialmente.
Il 24 gennaio più di 10.000 persone sfilano per il centro di Milano a difesa di questa esperienza di autogestione, lotta, cultura e solidarietà.
Tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio il collettivo di Cox18 prosegue la sua attività culturale e politica in piazza.
(http://www.inventati.org/apm/index.php?step=22012009_feb)
Nella serata del 13 febbraio dopo un’udienza per ottenere, senza esito, il dissequestro dei locali, con il supporto di compagni, solidali e amici, il centro viene liberato. Rimosse le lastre e aperte le porte, ha inizio una grande festa: siamo di nuovo dentro!
(http://www.inventati.org/apm/index.php?step=liberata)
Il 28 febbraio altre 10.000 persone sfilano a Milano contro le logiche securitarie, per l’autogestione e gli spazi sociali.
Intanto la vertenza col Comune procede. Il 7/10/2010 il tribunale emette sentenza rigettando la nostra richiesta. Perdiamo il primo grado e ricorriamo in appello.
(http://www.inventati.org/apm/index.php?step=notizia2)
Il 30/10/2011 si rinnova il Sindaco: a Letizia Moratti succede Giuliano Pisapia.
(http://www.inventati.org/apm/index.php?step=sindaci)
Nel febbraio 2012 gli avvocati del Comune chiedono al Tribunale, e ottengono, un rinvio della causa in corso con il centro per cercare una soluzione consensuale alla vicenda. Dopo di che il Comune scompare nel nulla preferendo, evidentemente, arrivare a sentenza.
Terzo episodio. L’inchiesta sui fatti legati allo sgombero di Cox18 (diventerà processo 2) e il primo narratore stonato
Nel frattempo inizia a prendere forma la risposta repressiva e montano le strida, ampiamente invocate già ai tempi, sull’ordine pubblico, il rispetto delle legge, il dovere di “pagare le tasse”…
Parallelamente alla vertenza col Comune, procede l’inchiesta per i “fatti dello sgombero di Conchetta” e assistiamo nuovamente alla riduzione e mostrificazione dei movimenti sociali. Le manifestazioni collettive di solidarietà e vicinanza diventano, appunto, una serie di reati specifici che vanno dal blocco stradale, al “porto di armi od oggetti atti ad offendere”, dall’adunata sediziosa alla rapina. Inarrestabile, l’attività investigativa visiona filmati, analizza foto, raccoglie relazioni di servizio degli “operanti”, per sostanziare la rappresentazione di un’attività criminosa che, si capisce, coinvolge tutti coloro i quali, a proprio rischio e pericolo, si sono avvicinati al centro sociale.
Nessun componente del collettivo risulterà essere imputato.
Quest’ultimo particolare non è isolato, è regola. Anche nel processo per i fatti dell’INNSE non si vedono imputati gli operai ma i solidali; nel “processone” No TAV la selezione degli imputati sembra voler segnare le aree che si muovono attorno alla Val di Susa, più che perseguire delle responsabilità oggettive. La solidarietà paga, ma per essa si paga.
Finito il Novecento, la guerra vede svanire i confini tra esterno e interno, non viene più dichiarata in quanto tale e cambia nome. Gli eserciti svolgono ormai solo “operazioni di polizia” e “interventi umanitari” o danno la caccia ai “terroristi”. Ora che si tratta di distinguere il bene dal male, il lecito dal non lecito, ci può essere disordine ma non conflitto. Che ciascuno stia a casa propria, verranno così più facilmente distinti i cattivi dai buoni, passo preliminare al ristabilimento dell’ordine.
Il primo narratore stonato
La retorica investigativo-poliziesca è un ghiotto boccone per un giornalismo come l’attuale, ignorante, prezzolato e connivente: c’è spettacolo, tensione, pathos. Il registro viene fissato direttamente dagli uffici stampa delle procure e delle questure; le parole-chiave sono semplici, ricorrenti e intercambiabili (“violenza”, “giornata di tensione”, “blitz”, “vittime”, “vasta operazione delle Forze dell’Ordine”, “terrorismo” ecc.). Salvo rare eccezioni, al redattore spetta solo di aggiungere alcune note di colore e qualche strafalcione. In questa narrazione il movimento sociale, anima della trasformazione, scompare.
Il secondo narratore stonato
Sul finire del 2012 il Comune lascia trapelare l’intenzione di far rientrare gli spazi sociali occupati nel programma della messa a bando degli spazi pubblici vuoti. Come per altri, la nostra risposta è chiara:
“Non è la giunta Pisapia a venire oggi incontro alle realtà sociali, sono le pratiche di occupazione e resistenza delle realtà sociali che da anni sono andate nella direzione di un modello di città diverso facendo argine, con lotte animate dalla forza del desiderio e dalle armi della passione, alle logiche di svendita di Milano e alla sua totale consegna nelle mani della speculazione.
Ciò detto, vogliamo precisare ulteriormente la nostra posizione.
Nei giorni scorsi abbiamo scritto: ‘QUI SIAMO E QUI RESTEREMO!’. Alla base di questa determinazione stanno la nostra IDENTITÀ PRATICA (quello che siamo e quello che facciamo), l’AUTOGESTIONE (le forme e le modalità dell’agire che ci siamo dati) e la TERRITORIALITà (i luoghi e il quartiere dove da anni siamo radicati).
A nostro avviso il primo segno di un’effettiva disponibilità al dialogo dal parte del Comune deve consistere nel riconoscimento di fatto del movimento delle occupazioni a Milano, una realtà storica non relegabile nelle pieghe di una delibera sugli spazi vuoti“.
(6.11.2012, Cox18, Calusca, Archivio Primo Moroni)
(http://www.inventati.org/apm/index.php?step=bando2012)
A ciò segue, nuovamente, il silenzio.
Il Comune riapparirà infine nei giorni scorsi, da una parte parlando dell’apertura di un tavolo sugli spazi sociali e dall’altra raggiungendo “quota 15”: quindici sono infatti gli sgomberi di spazi sociali effettuati durante il mandato della giunta Pisapia, un numero superiore a quello della giunta Moratti.
La causa civile del Comune contro Cox18 si chiude il 31/1/2013 con la conferma della sentenza di primo grado: in soldoni abbiamo perso.
La conclusione, benché a noi avversa, ci fa sorridere. Infatti il Giudice nega l’usu-capione non perché non riconosca un filo comune nella varietà delle persone e delle esperienze che in via Conchetta 18 si sono succedute nel tempo, né perché consideri che il precedente sgombero del 1989 abbia potuto compromettere il conteggio degli anni. No. Il Giudice nega a Cox18 il diritto di titolarità dello spazio occupato perché, dice, il collettivo non ha saputo comportarsi abbastanza “da proprietario”. Forse, per esempio non è stato chiesto all’Archivio Primo Moroni un affitto per l’uso dei locali, né l’Archivio ha fatto pagare per i servizi offerti. è proprio così, e ne siamo fieri.
Nel frattempo, si precisano i contorni del procedimento penale per i fatti relativi allo sgombero.
Dopo quattro anni di inchiesta e un esordio con più di 60 indagati, gli imputati si riducono a 10, l’accusa di “radunata sediziosa” scompare e così le “armi od oggetti atti ad offendere”. Restano: interruzione di pubblico servizio, resistenza, danneggiamento e rapina.
La trama del narratore si arricchisce il 9/12/2013, quando, insieme ad altri tre compagni, viene arrestato Mattia, già imputato per i fatti relativi allo sgombero: l’accusa è di aver partecipato all’ormai famosa azione di sabotaggio del 13-14 maggio 2013 a Chiomonte. è l’anello della congiunzione criminale tra un pezzo del movimento milanese e il terrorismo No TAV.
Guarda caso, da quel momento negli articoli sul processo per “i fatti legati allo sgombero di Conchetta” non si lesinano grassetti di emozione e parole di biasimo per l’incendio del compressore e i fumi da questo provocati (materiale del tutto avulso dall’istruttoria, naturalmente, e che meriterebbe ben altra trattazione, ma che appunto aggiunge quel pizzico di pepe in più confermando la tesi secondo cui chi è “cattivo” è portato necessariamente a fare del male). Guarda caso, le udienze si caricano del peso, materiale e simbolico, della gabbia e la tensione sale, per tutti.
Processo 2
Il 27/2/2014 iniziano le udienze per i “fatti dello sgombero di Conchetta”. È un processo breve, in cui anche la “rapina” verrà derubricata all’ultimo minuto, dal tribunale e non dal PM, in “tentata violenza privata”.
I cinque anni d’indagine, i corposi atti istruttori, la presenza costante di una nutrita, qualificata (e immaginiamo costosa) rappresentanza della DIGOS, dell’antiterrorismo e dei CC, atterrano su una condanna massima a 7 mesi per un blocco stradale, qualche pugno a un blindato e un cassonetto incendiato.
Varrebbe la pena di chiedersi il perché di tutto ciò.
(http://www.inventati.org/apm/index.php?step=impsol1)
L’icona che si è voluto malamente appiccicare agli anni Settanta non sempre è risultata sufficientemente evocativa del Male. A volte è successo. Sta succedendo ancora con il maldestro tentativo di sostenere che il sabotaggio di un compressore possa configurarsi come fattispecie di terrorismo (per quanto questa parola significhi ma con tutte le conseguenze del caso). è successo, più nel piccolo, anche con il tentativo di trasformare la solidarietà con Conchetta in una rapina.
Il frusto quadro dipinto coi cupi colori usati per descrivere quegli anni si riduce a una vignetta che non fa neanche sorridere.
In conclusione
In conclusione non si conclude mai niente.
Non riconosciamo i tribunali come luoghi deputati a risolvere il conflitto, con il loro corredo di pene e di galere. L’esito della vicenda, seppur parziale, non ci soddisfa. Nondimeno riconosciamo il fatto che è andato in frantumi lo sforzo questurino di costruire l’ennesimo “romanzo criminale” su una vertenza sociale o, peggio, di creare divisioni o spaccature.
Rivendichiamo la bontà delle pratiche dell’autogestione in opposizione a un modello sociale che diffonde solo mercificazione, sfruttamento e nocività. Nuclei di autorganizzazione che sono spesso un estremo e precario argine all’incedere della precarizzazione delle vite.
Nell’èra della servitù volontaria, in cui giovani disoccupati operano gratuitamente per le grandi istituzioni, in cui le liste di senzatetto crescono di pari passo con quelle degli alloggi vuoti (pubblici o privati); dove chi un tempo blandito come utile forza-lavoro, ora che non serve più a nulla deve stare muto, in fondo alla coda; per non parlare di chi muore attraversando un mare alla ricerca di un futuro di fame e di chi quel mare non lo può attraversare perché lo hanno chiuso, come un topo, in una trappola. Ci sono grandi o piccoli, talvolta sgangherati gruppi che producono vita, praticano mutuo soccorso e condivisione, dànno esempio di coraggio, generosità, fantasia e inventiva. Rivendichiamo e sosteniamo l’importanza di queste esperienze, che mai vorremmo vedere banalizzate a mere questioni contabili e/o normative. Ma di questo potremo in futuro discutere ancora e meglio.
(http://www.deriveapprodi.org/2014/04/secondo-inedito-di-primo-moroni/)
Qui vogliamo semplicemente restituire a chi ha partecipato ai cortei seguiti allo sgombero, a tutti i compagni che ci sono stati vicini e a quelli che abbiamo cercato a nostra volta di sostenere, a chi non c’era o è arrivato dopo, un senso di appartenenza comune. Un pezzo di una storia vera, che conosciamo perché l’abbiamo fatta e che vogliamo continuare a fare insieme.
29/7/2014 C.S.O.A. Cox18, Calusca City Lights, Archivio Primo Moroni