Di questi tempi si fa un gran parlare di Milano.
Vale la pena di ricapitolare per sommi capi i termini della questione.
Da un lato vi è la presa d’atto, utile ancorché tardiva, di quanto e come si sia trasformata la sua scorza nell’ultima ventina d’anni. L’anima era mutata da ancor prima, la progressiva chiusura degli stabilimenti industriali lasciava spazio alla precarietà sociale e a grandi aree dismesse in attesa di ricollocazione. Non fu difficile per una giunta rampante assecondare i desiderata di ‘colleghi’, immobiliaristi e prendere a giocare forsennatamente al cubo di Rubik cominciando con lo spostare la Fiera Campionaria a Pero, per poi edificare CityLife e arrivare infine a quell’apoteosi del non-luogo denominata ‘piazza’ Gae Aulenti, non senza essere passati attraverso quella desolante radura nota come ‘Biblioteca degli Alberi’.
Inutile dire che poca o nessuna cura fu riservata agli espulsi dal ciclo produttivo a seguito della chiusura (o delocalizzazione) degli impianti industriali e quasi nessuna tutela fu attivata per chi, ancor peggio in arnese, arrivava a Milano per sfuggire a guerra e fame o in cerca di fortuna. I servizi sociali soffrivano l’incontrastata invadenza dell’ideologia privatistica, nascosta sotto la foglia di fico dei vincoli imposti dalla crisi economica, con la sanità “universale” a fare da vittima prediletta. Intanto il prezzo degli affitti saliva. Università prestigiose, direzioni aziendali di rinomati marchi, dall’abbigliamento al mobile, affaristi di diverso genere, attiravano una popolazione più solvente che disposta a essere residente. Questa casa è un albergo.